Il Conscious Cities Festival 2020 si è concluso ccon l’incontro Energies Landscapes, un panel digitale organizzato da Tuned e Lombardini22 che ha visto coinvolte diverse provenienze disciplinari, come da tradizione, per affrontare insieme il tema della città che verrà, o meglio della città che ci auguriamo possa davvero prendere forma in un futuro non troppo lontano, se solo sapessimo come, e comunque prima che sia troppo tardi.
Iniziare con tale incipit rende subito evidente quanto a muovere qualsiasi dibattito sulla città contemporanea sia oggi un sentimento di urgenza, e come questo sia particolarmente acuito in questo momento di rocambolesca sospensione dell’esistenza che la pandemia sta provocando.
Tanto da spingerci a ripensare la città, i nostri modelli insediativi, il rapporto con la campagna e la natura in relazione ai fondamentali: corpo, alimentazione, energia.
Questo il focus di Energies’ Landscapes, argomento che chiude il ciclo di incontri del Conscious Cities Festival con una certa e in qualche modo indispensabile circolarità.
Già nel primo evento di maggio, infatti, Davide Ruzzon – direttore Tuned, Milano e Naad Master Iuav, Venezia – affermava: “Per controllare il consumo esterno dobbiamo iniziare dal risparmio energetico del nostro corpo, e un buon progetto urbano che consideri prioritario il contatto con la natura è di grande aiuto”.
Ruzzon riparte da lì richiamando così il fatto che, se in condizioni di riposo un essere umano adulto consuma circa il 25% dell’energia corporea disponibile, la percentuale aumenta in modo più che proporzionale in condizioni di stress dovuto all’iper-artificialità della nostra condizione urbana: un sovraccarico sensoriale e cognitivo che richiede un iperconsumo di energia, prima, e di conseguenza un iperconsumo di cibo e risorse naturali, come compensazione.
E quale cibo?
Dagli anni 1950 ai 2000 il consumo di carne è passato da 45 a 233 milioni di tonnellate, solo in Cina l’incremento è stato da 13 a 53 kg per persona all’anno in un intervallo molto più breve, d’altra parte nei paesi sviluppati come l’Europa siamo ben piazzati su circa 80 kg. Circa il 60% della produzione di cereali è oggi destinato all’allevamento animale intensivo, l’incidenza globale sui gas climalteranti dei soli bovini è del 7%. Il paesaggio agrario è una dsretta conseguenza di questo trend: il modello alimentare determina la forma del rapporto città/campagna (e viceversa, naturalmente).
Ma cosa ci induce a perseverare in tale modello iperproteico e impattante?
Essenzialmente il senso di appagamento e consolazione che il cosiddetto comfort food (o junk food) offre, tanto più immediato e impattante sui picchi di umore tanto più la situazione ambientale è stressante, come lo è mediamente la vita nell’ecosistema urbano.
Perché un ecosistema equilibrato oggi esista, quindi, è necessario ripensare al rapporto uomo-natura, evitando che l’artificialità della condizione urbana sottoponga il nostro organismo a stress prolungato.
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